Così diversi, perché concepiti in due momenti creativi diversi, eppure uniti nel compimento della parabola letteraria e reale di Jane Austen.
Condividendo la pubblicazione postuma, avvenuta il 20 dicembre 1817, L’Abbazia di Northanger (Northanger Abbey) e Persuasione (Persuasion) sembrano coronare l’intera vita letteraria ed editoriale dell’autrice.
L’ordine in cui appaiono sul frontespizio datato 1818 (com’era consuetudine all’epoca per i romanzi pubblicati sul finire dell’anno) non sembra affatto casuale e, anzi, ci ricorda che proprio in quest’ordine dobbiamo, noi lettrici e lettori di tutti i tempi, nominarli e leggerli.
Partendo da Northanger e approdando a Persuasione, del resto, possiamo ripercorrere esattamente il processo di maturazione creativa dell’autrice, l’alfa e l’omega della sua arte, la giovinezza e la maturità, poiché Northanger è il primo dei romanzi maggiori ad essere completato, nel 1803 circa (pur revisionato nel 1816), e Persuasione l’ultimo, nel giugno 1816. Tutto quanto sia stato scritto prima (i suoi spericolati Juvenilia e la graffiante Lady Susan) e dopo (l’abbozzo di lusso di quello che ancora oggi ha tutta l’aria di essere un capolavoro in potenza, Sanditon), passando persino attraverso una crisi creativa testimoniata dall’incompiuto I Watson, è una splendida cornice intrecciata a doppio filo con i magici otto anni in cui la scrittrice fu baldanzosamente produttiva e divenne autrice pubblicata – e tutto si compì.
Quanti elementi, comuni o divergenti, caratterizzano di due romanzi che compongono questa “strana coppia” editoriale? Che cosa pensava Jane di queste due creature, che lei stessa nomina e mette in correlazione in una lettera alla nipote Fanny proprio all’inizio del 1817, a pochi mesi dalla fine?
Oggi, per il nostro tè delle cinque, riapriamo i due romanzi di cui quest’anno celebriamo il Bicentenario per scorrerli, sfogliarli, leggerli & rileggerli.
…E non trovate che sia una preziosa, significativa coincidenza che proprio l’ultimo della lunga, appassionante serie di Bicentenari austeniani di questo privilegiato periodo sia doppio e così perfettamente ciclico?
Servitevi di tè e generi di conforto, e non dimenticate di prendere L’Abbazia di Northanger e Persuasione dallo scaffale.
Archivi tag: John Murray
Intorno a Emma – La Zitella Illetterata e il Bibliotecario Petulante
La pubblicazione di Emma, avvenuta il 23 dicembre 1815, portò con sé molti avvenimenti importanti che animarono la vita quotidiana della sua creatrice.
Innanzitutto, grazie ai buoni auspici di Henry, il fratello-agente di Jane Austen, la nascita della nuova creatura segnò il passaggio dal piccolo editore Egerton (specializzato, peraltro, in editoria militare) al famoso editore londinese Murray (editore di Byron e Walter Scott, nonché di una prestigiosa rivista letteraria, la Quarterly Review).
Inoltre, nei mesi precedenti all’uscita del libro, proprio mentre si trovava a Londra presso il fratello per curare la pubblicazione e revisionare le bozze, Jane ebbe l’occasione di conoscere il medico del Principe Reggente, che si rivelò essere un suo grande ammiratore, tanto da tenere una copia dei primi tre romanzi in ognuna delle proprie residenze. Il Principe, servendosi di un messo consono ad una scrittrice, cioè il suo bibliotecario, il Reverendo (attenzione a questo indizio…) James Stanier Clarke, le mandò un invito a recarsi a Carlton House, la sua residenza londinese.
Come ho già raccontato in un tè delle cinque di qualche mese fa (vedi link in fondo alla pagina), il giorno della convocazione (13 novembre 1815), il Reggente non fu così magnanimo da onorare la pur ammiratissima scrittrice con la propria presenza. Se, da un lato, le rese un involontario favore (il disprezzo di Jane Austen per il Reggente è proverbiale e provato anche da alcuni commenti espliciti nelle lettere), dall’altro la portò a conoscere meglio colui che fece gli onori di casa, il Rev. Clarke, un uomo che pare la personificazione stessa di uno dei personaggi più meschini e comici del suo microcosmo letterario.
La prima conseguenza dell’incontro fu, come già raccontato (vedi link in fondo alla pagina), l’invito a dedicare il nuovo romanzo a Sua Altezza reale, il Principe Reggente – un invito che Jane Austen fu persuasa (assai faticosamente) dall’editore e dalla famiglia ad inserire in Emma.
La seconda fu un carteggio, brevissimo ma serrato, con il suddetto Reverendo-Bibliotecario della Real Casa il quale cercò di sfruttare per sé il contatto con l’illustre autrice, utilizzando tutte le armi della sua dialettica per convincerla a scrivere un libro secondo i propri (egocentrici) desideri di romanziere mancato che si ricicla eroe romanzesco.
Il carteggio, incluso nell’odierna raccolta completa delle lettere, costituisce una lettura esilarante per il piglio ineffabile con cui Jane Austen rintuzzò i vanagloriosi tentativi letterari del suo corrispondente. Ma è anche estremamente illuminante perché racconta molto della personalità dei due corrispondenti e, soprattutto, contiene alcune delle più folgoranti descrizioni che l’autrice di Emma abbia mai concepito su se stessa e il proprio mestiere di scrivere.
Ed è passeggiando tra le righe di queste preziosissime lettere che vi invito a prendere il tè di oggi.
Intorno a Emma. Un invito regale e la dedica al Reggente
Uno dei luoghi comuni più falsi e fastidiosi su Jane Austen è la convinzione che la sua vita sia stata priva di eventi importanti e l’autrice abbia condotto un’esistenza in volontaria clausura nella propria casa. Il falso mito della scrittrice pia dalla vita noiosa, tutta casa e chiesa, a cui sembra essere capitato per caso di scrivere sei romanzi capolavori assoluti della letteratura di tutti i tempi crolla con facilità se si pensa che abitò case e luoghi diversi nel corso della sua vita ed era solita andare ospite per lunghi soggiorni in casa di questo o quel parente o conoscente. Basterebbe leggere le sue lettere per rendersi conto di come la sua vita fu, semmai, ben più vivace della media delle sue contemporanee.
Il responsabile di aver posto solide basi per questo pregiudizio ad alto tasso di mistificazione ha un nome: Henry Austen.
Il suo mentore, il suo complice di avventure editoriali, colui che la sostenne materialmente e spiritualmente per farla diventare un’autrice pubblicata scrisse la Nota Biografica sull’Autore nel dicembre del 1817 come prefazione ai due romanzi postumi Persuasion (Persuasione) e Northanger Abbey (L’Abbazia di Northanger): in questo testo, Henry impostò l’immagine-santino della sorella con una tale potenza che, oltre cinquant’anni dopo, nel 1870 un altro familiare, James Edward Austen-Leigh, nipote di Jane e Henry, riprese rincarando la dose con tutto il suo vigore vittoriano. E santino fu, per sempre.
Così Henry Austen, nella Nota Biografica citata, 1817:
Una vita dedicata agli altri, alla letteratura e alla religione non è mai una vita piena di avvenimenti.
E così James Edward nel Memoir of Jane Austen (Ricordo di Jane Austen), 1870:
Di avvenimenti la sua vita fu singolarmente povera; pochi cambiamenti e nessuna grande crisi ne interruppe mai il tranquillo fluire. Anche la sua fama si può dire che sia stata postuma; non raggiunse mai un vero vigore fino a quando lei non ebbe cessato di esistere. Il suo talento non attirò l’attenzione di altri scrittori, non la mise in contatto con il mondo letterario, né si fece in alcun modo strada attraverso l’oscurità del suo rifugio domestico.
Eppure, anche senza considerare la realtà raccontata dalle lettere, che ancora oggi ci restituiscono un’immagine ben diversa di Jane Austen e della sua vita, c’è un evento inequivocabile che da solo basterebbe a smentire queste affermazioni molto “protezionistiche” e che è senza dubbio un vero evento nel senso letterale del termine, con tutti i crismi.
Accadde sul finire del 1815 ed è legato alla pubblicazione di Emma – e per riviverlo, oggi dovremo indossare il nostro abito più elegante e ripassare le regole dell’etichetta più ferrea perché il tè ci sarà servito nientemeno che a Carlton House, il Palazzo Reale londinese ai tempi della Reggenza.