Marriageableness, ovvero: il grande equivoco austeniano

pride-and-prejudice
Il luogo comune che trovo più fastidioso a proposito di Jane Austen è quello che considera i suoi romanzi e le sue eroine come una gigantesca macchina da guerra in crinoline mossa verso l’unico obiettivo finale: il matrimonio.
Da questo, credo, conseguono tutti gli altri – provando a metterli insieme: sono romanzi da brave ragazze, con figure femminili antifemministe, il cui unico pensiero è la ricerca del principe azzurro, bello e ricco; ergo, romanzo rosa; cioè roba da donne, anzi, donnicciole in preda ai fumi del romanticismo più melenso e sfrenato, in breve una noia insostenibile se non addirittura dannosa.
Ma, di certo, quello più forte di tutti è appunto il matrimonio come unica carriera femminile possibile – come se le nozze finali dei romanzi austeniani fossero l’unico elemento narrativo importante e non una logica conseguenza di un lungo, avvincente ragionamento in forma di romanzo.
Leggendo uno dei libri che spesso amo citare nelle mie chiacchierate – Jane Austen,  di Tony Tanner, raccolta di saggi che questo studioso e critico ha scritto sui romanzi canonici austeniani – ho trovato la citazione di un brano che si può considerare l’emblema di questo colossale equivoco.

Ralph Waldo Emerson

Ralph Waldo Emerson

E’ opera di un’illustre e discussa figura culturale dell’800, il filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson (1803-1882), che fu anche saggista e poeta. E che qui è uno dei detrattori di Jane Austen più feroci che mi sia mai capitato d’incontrare.

Il perno della sua critica è un concetto molto preciso: marriageableness.
È una parola difficilmente rintracciabile nei dizionari, derivata dall’aggettivo marriageable (in età da matrimonio, anzi, “da marito”, poiché è quasi sempre a proposito di una donna che si usa questa locuzione – il che mi pare assai eloquente…).
In alcune traduzioni italiane, è stato reso con “propensione al matrimonio”, ma mi piacerebbe conservare la forza di impatto del termine e tradurre questo raro neologismo con un altro neologismo, matrimoniabilità.

Ma per capire meglio, ecco il brano in cui Emerson ne parla:

EN – I am at a loss to understand why people hold Miss Austen’s novels at so high a rate, which seem to me vulgar in tone, sterile in artistic invention, imprisoned in the wretched conventions of English society, without genius, wit, or knowledge of the world. Never was life so pinched and narrow. The one problem in the mind of the writer in both the stories I have read, Persuasion and Pride and Prejudice, is marriageableness.
All that interests in any charachter introduced is still this one: Has he (or she) the money to marry with, and conditions conforming? ‘Tis the “nympholepsy of a fond despair”, say, rather, of an English boarding-house. Suicide is more respectable.

IT – Non riesco a capire perché la gente abbia una così alta opinione dei romanzi di Miss Austen . Mi sembrano volgari nel tono, sterili nell’invenzione artistica, imprigionati nelle meschine convenzioni della società inglese, senza genio, spirito o conoscenza del mondo. Mai la vita è stata così tirata e ristretta. L’unico problema nella mente della scrittrice in entrambe le storie che ho letto, “Pesuasione” e “Orgoglio e Pregiudizio”, è la “matrimoniabilità”.
Tutto ciò che interessa in qualunque personaggio venga introdotto è ancora questo: egli (o ella) ha il denaro con cui sposarsi, e condizioni adeguate? È la “ninfolessia di una disperazione appassionata”*, cioè, meglio, di una pensione. Il suicidio è più rispettabile.
(Raph Waldo Emerson, Selected Journals: 1841-1877 – 1861 – la traduzione è mia)
*N.d.T: la “ninfolessia di una disperazione appassionata” è una citazione dal poema Childe Harold’s Pilgrimage di G. Byron – ninfolessia: coloro che vedono una ninfa resterebbero affascinati dalla sua immagine per il resto della loro vita, e tormentati da un ideale irraggiungibile

Il termine indicherebbe quanto una persona sia idonea ad essere sposata, secondo criteri ispirati dalla cultura sociale dominante. I romanzi austeniani sarebbero, dunque, frutto di questo retropensiero dell’autrice. Un chiodo fisso, insomma.

Una splendida Jane Austen: Olivia Williams in Miss Austen Regrets, BBC, 2007

Quando lessi questo brano la prima volta, mi venne subito in mente una prova schiacciante della sua assurdità: i romanzi di Jane Austen pullulano di pessimi esempi di coppie sposate, estremamente funzionali a demolire qualunque accettabilità del matrimonio soprattutto da parte delle eroine.
La più famosa ed evidente, praticamente un modello sociologico, è forse quella formata da Mr e Mrs Bennet, in Pride and Prejudice.

I coniugi Bennet in Pride and Prejudice, BBC, 1995

Ma basta spostarsi un poco più in là per trovare, senza troppo sforzo, una bella passerella variopinta: Mr e Mrs John Dashwood, Lord e Lady Middleton, Mr e Mrs Palmer; e ancora, Mr e Mrs Collins, Sir Thomas e Lady Bertram (e non ci stupisce la coppia che la loro figlia più grande, Maria, formerà con Mr Rushworth) e Mr e Mrs Norris (ci basta conoscere Mrs Norris per avere delle assolute certezze sul loro ménage); infine, gli ineffabili Mr e Mrs Elton. E non fatichiamo ad immaginare quale esempio terribile potesse essere la coppia formata da Sir Elliot e la sua defunta (di certo infelice) moglie.

I coniugi John e Fanny Dashwood in Sense and Sensibility, di Ang Lee, 1995

Queste coppie esprimono bene la prigione sociale in cui sono costretti tutti, uomini e donne, dando vita a connubi infelicissimi. Ma con una differenza sostanziale: gli uomini, infatti, come ci insegna Jane per voce di Anne Elliot, hanno l’approvazione sociale ad impegnarsi in varie attività al di fuori della famiglia e del matrimonio e fuggire dalla prigione in cui invece le donne continuano ad essere condannate senza speranza.
Proprio queste pessime coppie diventano, nel contesto austeniano, un monito potente. Come può l’eroina essere socialmente accettabile ma evitare un esito del genere, inaccettabile per se stessa?
La questione è quanto mai ardua: chi non si sposa rischia di diventare una reietta. Non è tanto una questione morale: è innanzitutto pratica.
Senza un marito, in una società in cui la donna ha un ruolo smaccatamente gregario e le donne lavoratrici sono solo quelle che appartengono al ceto più basso, la donna non sposata non può avere né denaro né protezione (e per questo vive sulle spalle dei parenti maschi più prossimi, nella migliore delle ipotesi, come accadde alla stessa Jane Austen).

Pensiamo a Charlotte Lucas (e presto ne parleremo più approfonditamente): ormai data per irrimediabilmente zitella, accetta il primo matrimonio che le capita in sorte pur di non essere un peso per i genitori e per se stessa.

Claudie Blakely è Charlotte Lucas in Pride and Prejudice, Joe Wright, 2005

Non è un caso che una recente manipolazione letteraria l’abbia  trasformata, assai opportunamente, in una morta-vivente (in Orgoglio e Pregiudizio e Zombie). Non sposarsi significava morire socialmente, sì, ma sposarsi a queste condizioni, in fondo, significava proprio morire nell’animo, uccidere la propria individualità.

Grazie all’esempio delle pessime coppie austeniane nonché alla propria vigile autocoscienza, le nostre eroine riescono a sostenere il proprio diritto di scegliere un destino diverso

Mr. Darcy e Elizabeth in Pride and Prejudice, Joe Wright, 2005

…in breve, di sovvertire la marriageableness incondizionata di cui parla Emerson e sposarsi, sì, e con buoni partiti, ma solo alle proprie condizioni.

Cioè: innanzitutto come affermazione di sé. E in secondo luogo, anche come trasformazione e crescita della società, perché esse non si arrendono allo schema, semmai lo rinnovano.
Non ci è dato sapere che cosa accade da quel momento in poi perché i romanzi di Jane Austen si fermano lì. Ma solo apparentemente.
In realtà, Jane ce lo ha già raccontato perché proprio grazie all’intero romanzo sappiamo che quel matrimonio è fondato su ottime premesse. Nessuna coercizione, nessun sacrificio, ma una scelta consapevole e condivisa. Darcy ed Elizabeth non saranno mai, neppure lontanamente, e nemmeno dopo 100 anni di vita insieme, simili ai coniugi Bennet!

Un’ultima dimostrazione dell’infondatezza della marriageableness secondo Emerson (che mi piace definire, appunto, incondizionata), e quindi del “grande equivoco austeniano”, esula dai romanzi.

I tormenti di Jane, mirabilmente interpretati da Olivia Williams, Miss Austen Regrets, BBC 2007

Questa marriageableness di tipo austeniano, cioè condizionata, è ciò che  Jane Austen stessa ha di certo desiderato per sé ma non ha potuto realizzare.
A ventisette anni, preferì restare sola, sobbarcandosi tutto il peso sociale che ciò comportava, dicendo di no ad una proposta allettante ed impossibile da rifiutare, quella del ricco Harris Bigg-Wither. Non sapremo mai perché gli disse di sì, dapprima, e, dopo una sola notte, si rimangiò la parola. Ma i motivi dovettero essere gravi, insuperabili, di certo legati alla propria netta percezione di sé.
La realtà purtroppo è sempre un po’ più dura della fantasia. Ma se c’è qualcosa che Jane ci insegna è proprio questo: non dare mai nulla per scontato, non arrendersi mai ed avere sempre piena coscienza di sé.

Scusate le lunghe chiacchiere… Il prossimo tè delle cinque sarà dedicato ad un personaggio che ha un posto speciale nel mio cuore perché è l’emblema tragico della gabbia sociale del matrimonio e della condizione femminile: Charlotte Lucas.


Link Utili:
☞ la storia del grande rifiuto di Jane Austen a Harris Bigg-Wither: Ventisette, come gli anni di jane Austen quando disse no
☞ la recensione di Orgoglio pregiudizio e zombie, mash-up di Seth Grahame-Smith
☞  biografia di Ralph Waldo Emerson su Wikipedia IT e Wikipedia EN


Silvia Ogier

32 pensieri su “Marriageableness, ovvero: il grande equivoco austeniano

  1. Anonymous

    Meraviglioso questo post, perchè in effetti quando ti domandano quale sia il tuo autore preferito e tu ripeti felicissima “Jane Austen”, tutti ti guardano nemmeno avessi detto Satana! Si, in effetti il preconcetto che tutti hanno sui romanzi della Austen è proprio questo, soprattutto gli uomini, e il prossimo che mi dice qualcosa….gli sbatto in faccia questo post e tutti i sei romanzi della Zia Jane insiemeeee!!!! Grazie ragazze!

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    1. Sylvia-66

      Brava, sfoderare i romanzi di Zia Jane mi sembra un ottimo modo per rispondere alle solite, noiose reazioni.
      (..e grazie per includere anche questo post!)

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    2. Claire

      Questo post è davvero interessante e bello, complimenti! Purtroppo i pregiudizi su Zia Jane e i suoi romanzi sono molto radicati nel pensiero comune (e forse ignorante…), infatti anch’ io la consideravo roba da donnine smielate prima che mia sorella mi convincesse a leggere i suoi romanzi (mea culpa). E pensare che senza le sue meravigliose storie mi sarei persa tante bellissime emozioni… sono fortunata ad avere una sorella più intelligente di me!

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  2. Irene

    Davvero complimenti…dimostri molta competenza, passione e interesse per zia Jane e per tutto ciò che la concerne. Soprattutto quando fai dei piccoli “saggi” o post di approfondimento sui grandi temi affrontati nei suoi romanzi. Brava! Personalmente credo che sia naturale il “lieto fine matrimoniale” al quale approdano tutte le eroine e gli eroi austeniani…1. perché purtroppo spesso nella vita reale questo happy ending non c’era o non era come si sperava (vedi Jane e Cassandra stesse) 2. nonostante zia Jane non fosse una sciocca ragazza con il “chiodo fisso” come dicevi tu del matrimonio, naturalmente era una delle poche ed anzi uniche prospettive di vita che la società di allora lasciava a noi donne 3. l’opera di zia Jane è assolutamente romantica…e quale potrebbe essere il tema principale se non l’amore? In quest’ottica, il suo ottimismo e la volontà di donare alle sue creature la gioia di un felice matrimonio (che a lei il fato ha negato) si è concentrata sul lieto fine dell’amore piuttosto che sul dolore dell’amore non ricambiato o perso.
    Scusami…perdonami davvero per la lunghezza del commento. Mi sono fatta prendere dall’argomento 🙂 Un abbraccio

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  3. Anna68

    E’ umoristico vedere come l’emerito Emerson riduca a un’idiozia fatta e finita i romanzi di denuncia sociale della cara zia Jane: denota una vera e propria forma di ignoranza (nel senso letterale del termine)e superficialità. Nessuna capacità di leggere la realtà del periodo e nessuna intenzione di riconoscere un minimo di intelligenza e capacità percettiva all’universo femminile. Il matrimonio era il solo mezzo per affrancarsi dalla povertà (e lo è stato fino a non troppo tempo fa anche nella nostra società) o per migliorare la propria condizione. I romanzi di Jane Austen non sono solamente “romantici”, sono un campionario di varia umanità reso più vivace ed interessante dalla sua capacità di interpretare e descrivere le debolezze, la grettezza mentale ma anche anche il “wit” e l’acutezza d’ingegno. L’altro fatto stupefacente è l’attualità dei personaggi: a ben pensare credo che tutti noi siano in grado di riconoscere qualche Mrs Bennet, un Mr. Collins ecc..
    Grazie ancora Silvia per gli spunti di riflessione. Un bacio. Anna

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    1. Sylvia-66

      Cara Anna, temo che Emerson fosse un perfetto esempio della cultura del suo tempo, smaccatamente maschile, ancor prima che maschilista, ahimé.
      Sì, se solo avesse messo da parte i pregiudizi, avrebbe avuto meravigliose sorprese, che avrebbero soddisfatto appieno le sue esigenti celluline grigie…

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  4. Gabriella Parisi

    Finalmente hai trovato il tempo per scrivere le tue riflessioni su questo argomento! Ne è venuto fuori un post interessantissimo.
    Fra gli esempi di coppie negative ci starebbero bene anche i Price che, sposatisi per amore, sono stati assorbiti da una vita di stenti – e dai troppi figli – per ricordarsi di essere felici!

    Emerson si è dimostrato ottuso come un uomo dei suoi tempi, che pretendevi? Solo essendo donne o persone molto sensibili ci si poteva rendere conto delle condizioni e delle scarse opportunità di una donna ai suoi tempi. Lui invece si dimostra without genius, wit, or knowledge of the world… (e gli ritorciamo contro le sue stesse parole!)

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    1. Sylvia-66

      Esattamente, my dearest LizzyGee!
      Perfetto il cenno ai Price, altra coppia-monito per tutte noi, aspiranti eroine austeniane. E mi associo senza indugi al restituire al mittente il suo giudizio miope.
      Grazie cara Gee!

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  5. Francesca D.

    Complimenti per questo post, da cui si riesce a percepire tutta la tua passione per i romanzi di Jane^^
    Il caro Emerson, in tutta onestà, mi sembra un bell’esempio di maschio frustrato. Forse sua moglie (ammesso che fosse sposato) era simile alla sig.ra Bennet…da qui l’acido di stomacoXD
    Sinceramente non ho mai capito questo scagliarsi contro Jane Austen accusandola di ‘eccessiva romanticità’. I suoi sono romanzi d’amore…perciò, di che altro avrebbero mai potuto parlare se non di matrimonio e coppie che si battono per raggiungere la felicità?!

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  6. Anonymous

    Perché leggere Jane Austen nel 2012? Per capire come hanno vissuto e continuano a vivere le donne: bisogna ricordare che ancora oggi le donne non sposate vengono considerate come dei pesi sociali da annullare. In alcune parti del mondo un rifiuto al matrimonio è pari ad un insulto per le famiglie e quindi deve essere segregata, inoltre le donne non possono studiare e non devono lavorare perché il loro mestiere è solo una: fare figli, figli e figli. Certo molti ridono quando leggono i libri di JA perché è passato molto tempo ma costruisce un periodo storico non del tutto finito. Anche in Italia le donne non sposate sono considerate “particolari”. Le nostre battaglie non sono ancora finite basta guardare la TV!!! Finisco dicendo che le opere di JA sono dei capolavori della letteratura e non robaccia da nascondere.
    Ciao da Innassia

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    1. Sylvia-66

      Sì, hai ragione Innassia, abbiamo ottenuto grandi conquiste, anche grazie a donne come Jane Austen, ma non sono ancora consolidate e, soprattutto, c’è ancora tanto da fare.
      (…persino promuovendo la lettura “senziente” dei romanzi di Jane Austen!)

      Rispondi
  7. Silvia

    A parte che non capisco perché un autore famoso debba passare il suo tempo a criticare il lavoro altrui invece di preoccuparsi del proprio, già questo è un chiaro sintomo della pochezza di una critica fatta gratuitamente. Perché il pubblico lettore dovrebbe essere in grado di formarsi da solo le sue opinioni su un autore. In secondo luogo, giudicare i romanzi di Jane Austen romanzetti rosa infestati da ragazze in cerca di marito è sintomo di una totale superficialità e mancanza di capacità di leggere tra le righe e andare oltre il proprio naso. Leggere i romanzi di Jane significa in primo luogo andare al di là e comprendere in profondità il suo messaggio. Nei romanzi di Jane si afferma innanzitutto il desiderio femminile di essere considerate creature con un cervello e non solo graziose statuine, creature in grado di crearsi da sole il proprio destino a dispetto di una società e di un sistema che non concedevano alle donne emancipazione e libertà. Sì, le eroine austeniane alla fine si sposano tutte felicemente, ma ci sono arrivate attraverso una crescita interiore sia loro sia dei loro mariti… una crescita a significare primo fra tutti che ognuno ha diritto di essere se stesso e di affermare la propria identità, al di là di quello che la società dice. Chi non riesce a capire questi facili concetti leggendo Orgoglio e pregiudizio o Persuasione probabilmente non ha mai visto niente oltre il proprio naso.

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  8. Sally

    Era un pò di tempo che non tornavo qui a prendere un tè ed ogni volta è come una boccata d’aria fresca!
    Non capisco sul serio come mai sia tanto radicato questo pregiudizio sul binomio Jane Austen – romanzo rosa. E lo dico perchè lo pensavo anche io – prima di conoscere Oroglio e pregiudizio e tutti i romanzi al seguito.
    Ma chi la pensa così è perchè non conosce affatto Jane Austen, non ha letto nemmeno un suo romanzo o se lo ha letto, non ne ha compreso il messaggio appieno (per non dire che non ci ha capito proprio nulla!).. povera Zia Jane!

    Rispondi
    1. Sylvia-66

      Carissima Sally, ben tornata! Sì, credo che il punto sia proprio questo: del resto, il pregiudizio, il luogo comune, lo stereotipo sono frutti dell’ignoranza e della miopia.
      E non è questione di gusti: un conto è dire “non mi piace” e altro è sostenere che questi romanzi sono ciò che non sono.
      Grazie per il tuo commento, cara!

      Rispondi
  9. Sylvia-66

    Solo per fare un esempio, ecco un recentissimo articolo in cui il Grande Equivoco Austeniano trionfa:
    http://www.ilsitodelledonne.it/2012/05/jane-austen-ispira-ancora-libri-donne-romantiche/
    (per di più su un sito che si chiama proprio “Il sito delle donne”, ahimé)
    Alcuni indizi mi fanno sospettare che i romanzi non siano molto conosciuti da chi scrive: le protagoniste sono definite “idealizzate, aggraziate, belle” oltreché intelligenti e di buona cultura, e “ripongono nel matrimonio l’unica possibilità di ascesa e realizzazione sociale”.
    Inoltre, sostenere che le versioni zombesche abbiano ridato vita alla “cadaverica aura” dei romanzi originali mi sembra un po’ eccessivo.

    Rispondi
  10. Anonymous

    Bellissimo post Sylvia!!!
    Non sai quanto mi innervosisco quando le persone si riferiscono ai romanzi di Jane Austen come a della “letteratura per ragazze”..non che ci sia nulla di male in ciò,ma il tono fa capire che non lo intendono come un complimento!Invece se solo si decidessero a leggere quei meravigliosi romanzi capirebbero come si sbagliano..
    Holly

    Rispondi
  11. ELISA

    Ciao! Mi chiamo Elisa e ti seguo praticamente da sempre, anche se non ho mai avuto l’occasione di commentare. Leggo spesso i tuoi post e le tue recensioni e ancor più spesso sono stati i tuoi pareri a guidarmi durante gli acquisti in libreria ^^
    In realtà ti scrivo perché ho aperto un blog da poco e delle ragazze mi hanno invitato a partecipare a un’iniziativa davvero carina, chiedendomi di invitare a mia volta altri blog. In quanto tua fedele lettrice ho subito pensato a te ^^
    se ti va di partecipare ti linko il post: http://fiumidiparoleblog.blogspot.it/2012/05/i-babbuini-wladimiri-sono-un-genere-di.html
    grazie ancora per l’attenzione, spero di risentirci presto! Elisa.

    Rispondi
    1. Sylvia-66

      Cara Elisa, benvenuta e grazie mille per le tue parole e la tua altissima fedeltà. Mi fa molto piacere poter essere utile ad altre Janeite! Non esitare a commentare ogni volta che ne hai voglia, ora che hai rotto il ghiaccio!
      Ed ora, vengo a curiosare sul tuo blog…

      Rispondi
  12. romina angelici

    Sì davvero un grosso equivoco! Penso che anche quello di nascondersi dietro all’ideale perbenista delle ragazze in cerca di matrimonio e quindi di rispettabilità fosse un paravento per Lei dietro cui potersi comunque esprimere dato che non era nemmeno tanto frequente che una donna prendesse la penna in mano per dare voce ai suoi pensieri e alle sue convinzioni. La critica più recente ha notato (cito Beatrice Battaglia per tutte) che J.A. non si cura troppo del finale sul quale sorvola quasi sbrigativamente come se fosse già scritto (per le sue eroine così come nella vita reale)ed è invece più interessata a mettere in dubbio con la sua ironia l’istituzione matrimonio, la società maschilista, i pregiudizi, la valenza economica di titoli e posizioni sociali.
    (Mi piace trovare sempre occasioni di confronto e riflessione con gli spunti offerti da te)

    Rispondi
  13. Sylvia-66

    Splendida ed opportuna citazione, Romina!

    (Il libro di Beatrice Battaglia, mia illustre e bravissima concittadina, contiene analisi e riflessioni davvero illuminanti. Per me è un punto di riferimento costante.)

    Rispondi
  14. Agatha

    Ho dovuto leggere Pride and Prejudice e per me, divoratrice di libri, è stata una vera e propria agonia. La Austen vuole mettere a nuda la realtà femminile dell’epoca ma i suoi toni non sono quasi per niente critici. Inoltre la “Zia Jane” avrebbe anche potuto provare ad accomodare meno il pensiero dominante e ad occuparsi di altri problemi del periodo (magari continuando a focalizzarsi sul personaggio femminile avrebbe potuto analizzare la situazione, a mio avviso di gran lunga peggiore, di una donna che si sarà anche sposata per amore ma è costretta a lavorare in fabbrica per 12 ore almeno con il marito e i figli di 4-6 anni e a vivere in una bettola).

    Scusate se sono stata inopportuna ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensate 🙂

    Rispondi
  15. LizzyS (Sylvia-66)

    Cara Agatha, non sei affatto inopportuna e, anzi, offri la possibilità di riflettere su un tema da sempre molto dibattuto, quello del femminismo di Jane Austen.
    Comincerò con un’affermazone generale. Nel tempo, ho imparato che il femminismo si esprime attraverso le forme più varie: da quelle più esplicite, come la protesta di piazza o le prese di posizione pubbliche, a quelle più implicite, come il lavorio quotidiano all’interno della casa e della famiglia e delle relazioni sociali. Ognuna di queste forme ha pari dignità e forza ai miei occhi.

    Venendo a JA, è bene ricordare che ella scriveva di ciò che conosceva bene, cioè la propria realtà. E scelse di farlo nel modo che le era più congeniale, senza melodrammi e con molta ironia, usando sapientemente il discorso indiretto libero, grazie al quale le sue eroine acquistano una voce che permette di raccontare a noi lettori le loro reazioni alla situazione. E sono reazioni dissidenti.

    Se ci pensi bene, Elizabeth dice due no giganteschi a due uomini che rappresentano proprio il pensiero dominante. Soprattutto Darcy. Quando lo rifiuta la prima volta, lo fa perché lui ha agito da perfetto rappresentante del potere – lui, così bello, ricco, elegante, aristocratico, il nonplusultra – dando per scontato che lei non avrebbe potuto fare altro che accettarlo, calpestando il suo stesso diritto a esistere, di essere dotata di una volontà e di dignità.
    Tra questo no iniziale e il sì finale c’è un lungo, articolato, profondo percorso di maturazione di entrambi. Pemberley non è il simbolo della ricchezza e dello status sociale di Darcy: mentre Lizzy “scopre” la dimora avita, scopre anche l’animo di Darcy attraverso il luogo elegante ma non ostentatamente lussuoso, e le parole sincere della governante, e l’incontro che avviene di lì a poco è rivelatore.
    Ciò che JA ha perfettamente rappresentato qui è proprio la crescita individuale di una donna e di un uomo, che aprono gli occhi su se stessi a sull’altro grazie al confronto sullo stesso piano e si incontrano, e si uniscono davvero, fondendosi come coppia ma anche restando perfettamente se stessi – una cosa che ritengo sia ancora oggi del tutto rivoluzionaria. Anche se parla di una ventenne figlia di un gentiluomo di campagna assai squattrinato e non di una donna che lavora in fabbrica.
    Ti prego, non esitare a replicare, apprezzo sempre un confronto su questi temi.

    Ti invito a leggere un bell’articolo apparso proprio oggi su jasit: http://jasit.altervista.org/blog/connessioni-femministe-jane-austen-e-mary-wollstonecraft/ che risponderà assai meglio di quanto abbia fatto io. A presto!

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  16. pietro bognetti

    Non conosco Emerson, anche se l’ho spesso sentito citare, mi sembra tuttavia che la sua critica si inserisca in quel filone americano che trova in Mark Twain un continuatore: quello dell’incapacità americana a capire l’Europa in generale e Jane Austen in particolare. Il perché di questa incomprensione non mi è chiara, mi interessa invece notare l’età di Jane, 27 anni, quando ricevette la proposta di quel suo corteggiatore, che lei rifiutò, dopo una prima incertezza. Dovette esser considerato da Jane un avvenimento importante perché diversi anni dopo esso ritorna, carico di significato e profondamente elaborato, nel suo’ultimo romanzo completo: Persuasion. Infatti 27 anni è anche l’età di Ann, che, poco prima, ha rifiutato la domanda di matrimonio di colui che poi ha sposato sua sorella Mary e che già avverte nella stanchezza fisica che l’assale le prime avvisaglie della sua ultima malattia.. Da questo elemento biografico muove tutta la vicenda e la tematica del romanzo, che non si esaurisce in una storia di principi azzurri che ritornano, ma neppure pretende di assurgere a simbolismi storico-sociali.

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