…ancora a proposito di Charlotte, il matrimonio, le donne con G.Parisi

(nell’immagine di testa: Monastero degli Olivetani, Univ. di Lecce)
Il nostro ultimo tè dedicato a Charlotte Lucas (Charlotte Lucas, ovvero: mi piego ma non mi spezzo) ha destato molte riflessioni in coloro che hanno letto il post, e che ringrazio vivamente perché, a loro volta, hanno suscitato altrettante elucubrazioni nella mia fervida mente di Janeite… nonché in quella di Gabriella, alias LizzyGee, una delle mie care compagne di incursioni nel mondo dei derivati austeniani, (insieme a Miss Claire, alias LizzyP, nel salotto Old Friends & New Fancies dedicato proprio a questo particolare e prolifico genere letterario).
Per effetto di una di quelle meravigliose, insondabili coincidenze significative che mi piacciono tanto, Gabriella si è trovata a leggere proprio nei giorni del post un libro (La Monaca, di  Simonetta Agnello Hornby) in qualche modo legato sia a Jane Austen sia all’argomento di quel post, cioè condizione femminile e matrimonio.

Perciò oggi, in questo tè delle cinque, le cedo ben volentieri il compito di fare due chiacchiere austeniane, ringraziandola vivamente di avermi regalato queste sue riflessioni.
In che modo, e con quali effetti, Jane Austen si intreccia con il destino di una monaca in un convento del Sud d’Italia di metà Ottocento?…


Le donne italiane (non) avevano un’alternativa
di Gabriella Parisi
Pochi giorni dopo la pubblicazione del post di Sylvia-66 su Charlotte Collins, ho intrapreso la lettura di La Monaca di Simonetta Agnello Hornby. In un primo momento ho rilevato solo i numerosi riferimenti che l’autrice fa a Jane Austen.

Giuseppe Molteni, 1847, La signora di Monza

La protagonista, Agata, è di famiglia nobile e ha studiato con un’istitutrice inglese, Miss Wainwright. Quando conosce James Garson, un capitano inglese che si trova nel Regno delle due Sicilie per questioni commerciali e diplomatiche, comincia a ricevere da lui dei presenti, dei libri in inglese. È il 1840 — Agata ha solo quattordici anni —  e il primo libro che Agata riceve è Pride and Prejudice, una pubblicazione relativamente giovane.

Più avanti — quando Garson le avrà mandato tanti libri fra cui, sicuramente, anche le altre opere di Jane Austen — in un salotto mondano si parla proprio della scrittrice e del perché non abbia pubblicato a suo nome in vita. Agata è ancora giovanissima, ma felice di partecipare alla discussione, sotto l’occhio compiaciuto di Garson.
In seguito, quando sarà in convento, aprirà la preziosa cassa dei libri alla ricerca di un conforto. Il libro che le capiterà fra le mani — inutile dirlo — sarà Pride and Prejudice. Niente è come Jane Austen nei momenti di crisi. Se non fosse che la nostra povera Agata uscirà dalla rilettura innamorata di Mr Darcy e virtualmente invidiosa delle sorelle Bennet, che hanno sposato l’amore della loro vita.

Ancora più avanti Agata rileggerà tutti i romanzi che James le ha donato nell’ordine con cui le sono stati offerti. Quindi sappiamo che rileggerà ancora una volta Pride and Prejudice.

Jennifer Ehle e Colin Firth in P&P, BBC, 1995

Ma mentre leggevo le vicende di questa giovane — sfortunata di essere nata nobile (sembra un controsenso, ma non lo è) — e ripensavo al post su Charlotte Collins, mi sono resa conto che in Italia e un po’ in tutti i paesi cattolici, per le giovani nobili c’era un’altra più triste alternativa al matrimonio. Perché difficilmente la famiglia sarebbe stata disposta a tenere in casa una figlia nubile, al limite non si maritava l’ultimogenita perché accudisse la madre durante la vecchiaia.

Era naturale per i conventi ospitare giovani riottose, quindi numerose erano le strategie per “far venire loro la vocazione”. Spesso le fanciulle chinavano il capo abituandosi alla vita monacale, ritagliandosi nel convento uno spazio che nel mondo esterno non avrebbero potuto avere.

Per una giovane di nobili origini, infatti, era degradante una qualsiasi forma di lavoro: impossibile per Agata divenire istitutrice come la sua amata Miss Wainwright, come avrebbe desiderato; del resto questo lavoro era degradante anche in Inghilterra e le sorelle Brontë, che lo svolsero, erano delle umili figlie di pastore, non delle nobili. D’altronde, le istitutrici erano soggette ai peggiori maltrattamenti, come denuncia la stessa Anne Brontë in Agnes Gray.
Nel convento, invece, esse erano incoraggiate a svolgere ogni genere di attività: lavori di cucito e di ricamo, lavori in cucina, in particolar modo di pasticceria — i conventi erano famosi per la preparazione e la vendita di dolci —, di giardinaggio, di erboristeria; potevano anche esercitare una sorta di professione medica fra le altre monache. Quindi, qualora si fossero accontentate di una vita senza amore, le monache potevano — in un certo senso e sempre tenendo conto che erano rinchiuse fra quattro mura — realizzarsi.
D’altro canto, il matrimonio non equivaleva — nella maggior parte dei casi — all’amore. Agata, costretta ad abbandonare il sogno di sposare Giacomo — il suo primo amore — perché priva di dote, viene promessa ad un vedovo, più anziano di lei di quarant’anni, ma lo rifiuta, preferendo — a quel punto — il chiostro e la possibilità di studiare erboristeria e di leggere i romanzi che James continua a donarle.
Né nei conventi mancava l’amore carnale, a volerlo cercare: confessori fin troppo zelanti e converse disgustate da padri degenerati erano pronti a porre rimedio.
Charlotte Lucas (Claudie Blakely, P&P 2005) ispiratrice di queste riflessioni

Se però la giovane fosse stata una Elizabeth Bennet, una Marianne Dashwood, una giovane dal forte spirito d’indipendenza e di giustizia? E se per madre avesse avuto Lady Susan? Proprio come Frederica, la figlia di Lady Susan, Agata cercherà il sostegno che la madre — testarda e troppo legata alla mentalità antica di secoli, che voleva che le figlie più giovani entrassero in convento — non le vorrà offrire. Proprio come in Lady Susan, Donna Gesuela — la madre di Agata — sceglie un marito adatto dal punto di vista sociale, ma aberrante dal punto di vista dello spirito, tanto che Agata preferirà mille volte il chiostro!

Olivia Williams, perfetta Jane Austen in Miss Austen Regrets, BBC,  2008

 

E se Jane Austen fosse stata cattolica? Lo so che è impossibile, visto che era figlia di un ecclesiastico anglicano, ma se l’unica altra alternativa al matrimonio fosse stata il convento? Avrebbe potuto scrivere i suoi romanzi? Se sì, di cosa avrebbero parlato? Di certo non di balli e ricevimenti, di Mr Darcy e del Capitano Wentworth. La Hornby nei ringraziamenti cita Enrichetta Caracciolo, autrice di I misteri del chiostro napoletano, la sua autobiografia. Avrebbe forse scritto qualcosa di simile? Sarebbe rimasta semisconosciuta al mondo, con tutto il suo eccezionale talento? O forse si sarebbe adattata alla vita monacale e avrebbe svolto una delle attività consentite? Per fortuna Enrico VIII aveva abolito fin dal 1536 i monasteri in Inghilterra, per cui il problema non si è posto.
Però quando guardiamo — e compatiamo — persone come Charlotte Lucas, Miss Bates o le stesse sorelle Austen, volgiamo lo sguardo a casa nostra e rendiamoci conto che si potrebbero considerare quasi fortunate!

Note:

Simonetta Agnello Hornby
La Monaca
Editore: Feltrinelli
Collana: I Narratori
Pubblicato il: 29/09/2010
Pagine: 304
ISBN: 9788807018237

Silvia Ogier

8 pensieri su “…ancora a proposito di Charlotte, il matrimonio, le donne con G.Parisi

  1. Angela

    Ciao Gabriella, ho letto con interesse questo post! Io non ho dato un okkio al libro che citi….ma in effetti, credo che scegliere tra un matrimonio senza amore o la vita in convento non deve essere stata una cosa facile, per chi si è trovata in questa situazione. A me piace pensare che la Austen avrebbe comunque scritto le stesse cose, anche se fosse stata costretta ad andare in convento! Chissà magari avrebbe fatto questa scelta dopo il rifiuto dei genitori nei confronti di un amore che loro non avrebbero mai accettato e perciò la Austen avrebbe avuto le necessarie esperienze amorose che poi avrebbe potuto raccontare. Scusa per questo commento un pò sconclusionato…..ma per ora mi son venute queste riflessioni!!!! la vostra janeite è forte! 🙂

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    1. Gabriella

      Bah, Angela, non saprei dire… Jane Austen parlava solo di cose di cui aveva conoscenza diretta. Per esempio, non so se avete mai notato: quando gli uomini si ritiravano dopo cena per il porto lei non li segue mai nei suoi romanzi; eppure si sarebbero potute svolgere interessanti conversazioni in quel frangente. Ma lei non vi aveva mai presenziato, pertanto non ne ha mai parlato.
      Ora, se fosse stata chiusa in convento, magari quella realtà di balli e di vita mondana le sarebbe sembrata distante anni luce da lei. E chissà se la sua situazione psicologica le avrebbe consentito di scrivere… magari non avrebbe scritto neanche un memoriale del convento, come fece Enrichetta Caracciolo… o forse lo avrebbe scritto e avrebbe messo alla berlina tutte le varie figure monacali (ma probabilmente quei libri non sarebbero mai arrivati fino a noi!!!)

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  2. Donisan

    Grazie, da tempo pensavo di leggere qualcosa della Hornby. Penso proprio che sceglierò questo romanzo, dati i suoi riferimenti alla Austen (e al suo potere salvifico!). Comunque, tranquille, non è che nei paesi cattolici tutte le ragazze non sposate finivano in convento. Molte rimanevano in famiglia, per assistere i genitori e, in seguito, i nipoti. Perciò la nostra Jane, potendo contare su dei fratelli affezionati, non avrebbe probabilmente indossato il velo monacale!

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    1. Gabriella

      @Donisan: logicamente la mia era un’ipotesi per assurdo; è vero che non tutte le giovani non sposate finissero in convento. Temo, però, che fosse molto comune per le nobildonne di casa nostra (e sto parlando di nobili, non di gentildonne, come potrebbe essere considerata Jane Austen), e che non fosse una questione di fratelli o sorelle affettuosi!
      Per un problema di titoli e di ereditarietà (e anche di dote), infatti, quasi tutti i figli non primogeniti potevano essere destinati al chiostro fin dalla culla!
      E le famiglie se ne facevano un vanto di aver ‘donato’ questa figlia o quel figlio a un convento prestigioso. Prima di La Monaca avevo notato la stessa situazione in I Viceré di De Roberto, solo per farti un esempio conosciutissimo, ma libri sull’argomento – come certo saprai – ce n’è a bizzeffe.

      Ci possiamo consolare dicendo che questo destino era riservato solo alle nobili?

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  3. PinkLady

    Bell’articolo, grazie Gabriella!

    Peraltro mi hai fatto venire in mente i tristi condizionamenti psicologici per costringere al chiostro la famosa Monaca di Monza, al secolo Marianna de Leyva y Marino (anche se vissuta precedentemente, tra la fine del ‘500 e la prima metà del ‘600).

    Ciaooooooo

    p.s. @sylvia-66: ti ho risposto su “letture austeniane” 😉

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    1. The Lizzies

      Grazie PinkLady!
      Se hai notato nell’articolo abbiamo appunto messo un ritratto della Monaca di Monza. 😉
      Di storie ce ne sono tantissime… Che dire di Storia di una capinera di Giovanni Verga? Fra l’altro è ambientata circa nello stesso periodo di La monaca!

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    2. PinkLady

      Grazie a voi dei vs bei blog ^_^

      Volevo citare anche Storia di una capinera! 😀

      Finalmente qualcuno che legge libri che meritano davvero d’esser letti!

      F.to una malata di Classici fin dall’infanzia 😉
      A prestissimooooo

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