Il salotto di Mrs. Collins. Ovvero: la stanza tutta per sé di Charlotte Lucas

by Cassandra Austen, pencil and watercolour, circa 1810 virginia_woolf_her_room

Le strade di Jane Austen e Virginia Woolf sono assai più intrecciate di quanto non sembri ad una prima lettura dei testi in cui la seconda riflette sulla prima. Che la grande scrittrice del Novecento abbia ragionato più volte, sempre in modo originale ed illuminante, sulla geniale scrittrice del secolo precedente, è testimoniato da due articoli, Jane Austen fa i suoi esercizi, recensione di Amore e Amicizia pubblicata su The New Statesman, 15 luglio 1922, e Jane Austen, apparso su Il lettore comune (The common reader) nel 1923, e dal fondamentale (mai abbastanza letto, e raccomandato, e lodato) saggio A room of one’s own (Una stanza tutta per sé), dove Jane Austen viene nominata 25 volte e sempre in funzione di perno di un’analisi, pragmatica e rivelatrice, della letteratura e della realtà.
I giudizi di Virginia Woolf sulla “più perfetta” tra le scrittrici sono sparsi qua e là con l’entusiasmo dell’ammiratrice, la lucidità della pensatrice, la dialettica della scrittrice, e spaziano da Lady Susan a Persuasione, passando per i Watson.

Raramente, forse addirittura mai, ci si rende conto che è possibile ripercorrere a ritroso questo percorso ed approdare di nuovo alle opere di Jane Austen, per esplorarle alla ricerca di elementi concreti e precisi (brani, dialoghi, personaggi, ecc.) che hanno ispirato quella che ritengo la creazione più geniale e completa di Virginia Woolf, vera e propria Teoria del Tutto antropologica: Una stanza tutta per sé (A room of one’s own).

Io ho almeno due prove inconfutabili di questa ispirazione diretta. Ed è la prima che vorrei condividere con voi, oggi, in questo tè delle cinque che ci porta nel Kent, la contea del destino…
(Della seconda prova, ho già parlato qualche tempo fa ma avremo modo di riprenderla, molto presto)

Sì, ne sono convinta. C’è una vera stanza tutta per sé nell’opera di Jane Austen.
Per trovarla, dobbiamo entrare nel microcosmo di Orgoglio e Pregiudizio (Pride and Prejudice) e seguire Elizabeth Bennet, protagonista del romanzo, quando, all’inizio della primavera, va nel Kent.
Lo aveva promesso poco tempo prima, nel cuore di un difficile inverno, quando, all’inizio di gennaio, colei che era stata fino a quel momento la sua migliore amica, Charlotte Lucas, aveva preso commiato da lei, essendosi appena sposata con l’uomo più ridicolo al mondo, Mr Collins. E mettendo di fatto la parola fine alla profonda, sincera amicizia che le legava da sempre.

Charlotte moglie di Mr. Collins era un quadro umiliante!
(cap. 22)

La delusione, e la conseguente rottura, è tutta di Lizzy, non di Charlotte – che invece, con la solidità del suo proverbiale pragmatismo, ha preso questa decisione senza ritorno come naturale conseguenza di una vita intera di consapevolezza della propria condizione di donna priva delle doti socialmente approvate in una persona di sesso femminile (bellezza, denaro, posizione), a cui si aggiunge l’aggravante di essere, ormai, una zitella conclamata, avendo ventisette anni:

pnpcebrockbw16Charlotte era abbastanza tranquilla. Aveva raggiunto lo scopo, ed ebbe tempo per pensarci. Le sue riflessioni furono in generale soddisfacenti. Certo, Mr. Collins non era né intelligente né piacevole; era una compagnia noiosa, e il suo affetto puramente immaginario. Ma comunque sarebbe stato un marito. Senza aspettarsi molto dagli uomini e dal matrimonio, sposarsi era sempre stato il suo obiettivo; era l’unica soluzione onorevole per una signorina istruita e di scarsi mezzi, e per quanto fosse incerta la felicità che se ne poteva trarre, era sicuramente il modo più piacevole per proteggersi dalla miseria. Quella protezione l’aveva ormai ottenuta, e a ventisette anni, senza mai essere stata bella, era consapevole della sua fortuna.
(Cap. 22)

In queste righe, c’è il quadro (magistralmente dipinto con poche, efficacissime pennellate che valgono più di qualunque trattato di storia o sociologia) della condizione femminile dei tempi di Jane Austen: private della libertà di scegliere per sé, e di provvedere a loro stesse con il proprio lavoro senza essere bandite dalla società, le donne si piegavano al matrimonio come unica fonte di sostentamento e sopravvivenza.
Essere zitelle significava condannarsi ad una vita di ristrettezze, alle dipendenze degli uomini di famiglia (se presenti), di perenne semi-schiavitù al sevizio dei suddetti parenti uomini e delle loro famiglie (come testimoniano i tanti riferimenti, nelle lettere di Jane Austen, alla vita di Jane stessa e di Cassandra durante i loro lunghi soggiorni a casa dei fratelli, dove fungevano da balie ed educatrici per i numerosi nipotini, nonché da vere e proprie governanti tuttofare) e di condanna sociale (perché non si è contribuito alla comunità, in nessun modo). Un atteggiamento sintetizzato dall’autrice in una frase sottilmente drammatica del cap. 22:

[…] i ragazzi si sentirono liberati dal timore che Charlotte morisse zitella.

Ma nella serena rassegnazione di Charlotte, donna-simbolo della condizione femminile nella società patriarcale, c’è un’ombra:

La parte meno gradevole della faccenda era la sorpresa che avrebbe suscitato in Elizabeth Bennet, alla cui amicizia teneva più che a quella di chiunque altro. Elizabeth si sarebbe stupita, e probabilmente l’avrebbe biasimata; e sebbene la sua decisione fosse ben salda, quella disapprovazione avrebbe certamente ferito i suoi sentimenti.
(Cap 22)

E così accade. In questa reazione, possiamo percepire la rabbia e lo stupore di Elizabeth nel vedere Charlotte, giovane donna intelligente e sensibile, accettare di legarsi per tutta la vita, diventandone di fatto una proprietà, ad un uomo che è la negazione di tutto ciò che le due vecchie amiche sono sempre state.
Il senso di abbandono è altrettanto in gioco. Con il matrimonio di Charlotte, Lizzy perde una delle pochissime, preziose persone che ama e apprezza – un vuoto accentuato dalla fuga di Bingley (e Darcy), prima, e dalla partenza dell’amata sorella Jane per Londra, poi. Una somma di delusioni.

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Ed è così che il resto dell’inverno, lungo ed evidentemente tedioso, passa in una sorta di isolamento e sospensione, tanto da poter essere liquidato in poche righe all’inizio del capitolo 27, per arrivare subito all’evento che risveglia Lizzy e la trama dal breve letargo:

Con avvenimenti non più significativi di questi, e con non maggiori diversivi delle passeggiate a Meryton, a volte nel fango e a volte nel gelo, la famiglia di Longbourn passò i mesi di gennaio e febbraio. Marzo doveva condurre Elizabeth a Hunsford.

Con la primavera ed il sole più caldo, l’atteggiamento di Lizzy si è ammorbidito – o forse è solo un effetto dell’esasperazione per l’atmosfera di casa:

Dapprima non aveva pensato seriamente di andarci, ma Charlotte, scoprì presto, ci teneva molto, e lei stessa cominciò gradualmente a considerare la cosa con maggiore piacere e maggiore certezza. La separazione aveva accresciuto il desiderio di rivedere Charlotte, e attenuato l’avversione per Mr. Collins. Il progetto prometteva novità, e dato che, con una madre del genere e sorelle di così poca compagnia, in famiglia non mancavano certo i difetti, un piccolo cambiamento non le era di per sé sgradito.

Di fatto, quando al cap. 28 arriviamo nel Kent al suo seguito, noi lettori siamo pronti ad assistere con un sorriso ironico alla triste trasfigurazione della sua ex migliore amica in moglie di Mr. Collins.

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Ma quando appare Charlotte, ecco la reazione di Lizzy, accentuata dalla solita, deliziosa dose di ironia austeniana:

[…] guardò invece con stupore all’amica, che riusciva ad avere un’aria così allegra con un compagno del genere. Quando Mr. Collins diceva qualcosa della quale la moglie avrebbe dovuto ragionevolmente vergognarsi, il che non era certo infrequente, lei rivolgeva involontariamente lo sguardo a Charlotte. Una o due volte riuscì a scorgere un lieve rossore, ma in generale Charlotte aveva la saggezza di non ascoltare.

Mr. Collins non è riuscito ad atrofizzare, fagocitare il cervello di Charlotte. Che, addirittura, rivela un’abilità invidiabile nel forgiare il proprio ménage:

Mr. Collins li invitò a dare un’occhiata al giardino, che era ampio e ben messo, e alle piante di cui si occupava personalmente. Lavorare in giardino era uno dei suoi piaceri più considerevoli, ed Elizabeth ammirò l’impassibilità con la quale Charlotte parlava della salubrità di quell’esercizio e confessava di incoraggiarlo in tal senso il più possibile.

In pratica, gli ha creato una stanza tutta per sé en plein air
Ma all’interno, ci aspettano altre sorprendenti conferme:

Charlotte portò la sorella e l’amica in casa, probabilmente molto contenta di avere l’opportunità di fargliela vedere senza l’aiuto del marito. Era una casa piuttosto piccola, ma ben costruita e comoda, e tutto era collocato e sistemato con un’armonia e una coerenza per le quali Elizabeth attribuì tutto il merito a Charlotte. Se si riusciva a dimenticare Mr. Collins, c’era davvero un’aria di grande comodità dappertutto, e dall’evidente piacere che ne traeva Charlotte, Elizabeth immaginò che doveva essere spesso dimenticato.

Se è vero che la capacità di adattamento è la definizione stessa dell’intelligenza, Charlotte dimostra qui di esserne la personificazione. Piegatasi volontariamente e pragmaticamente ad un matrimonio di sopravvivenza, ella sopravvive altrettanto pragmaticamente nella sua nuova vita quotidiana, dove tutto è “collocato e sistemato” (fitted up and arranged) con “armonia” (neatness) e “coerenza” (consistency) con tale abilità da trarne persino un “evidente piacere” (evident enjoyment).

Ma non è finita. Jane Austen concretizza questo riscatto femminile dall’omologazione patriarcale in un luogo preciso, una stanza della casa, vera e propria enclave individuale dentro la vita di famiglia:

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Elizabeth fu lieta di constatare che non avrebbe visto di più il cugino a causa di quel cambiamento, poiché la maggior parte del tempo tra la colazione e il pranzo lui ora lo passava a lavorare in giardino o a leggere, scrivere e guardare fuori dalla finestra nel suo studio, che si affacciava sulla strada. La stanza [N.d.A.: “room” nell’originale] dove si riunivano le signore era sul retro. Dapprima Elizabeth era rimasta piuttosto stupita dal fatto che Charlotte non preferisse usare la sala da pranzo, che era una stanza più grande e aveva un aspetto migliore; ma presto si rese conto che l’amica aveva un motivo eccellente per comportarsi così, poiché Mr. Collins sarebbe rimasto senza dubbio molto meno nella propria stanza, se quella occupata da loro fosse stata ugualmente animata; e apprezzò Charlotte per quell’espediente.
Dal salotto [N.d.A.: “drawing room” nell’originale] non si vedeva nulla della strada, e dipendevano da Mr. Collins per venire a sapere quali carrozze fossero passate […].

In un matrimonio per necessità, il pragmatismo e la sensibilità di Charlotte costruiscono un luogo che custodisce e coltiva la sua vera natura. Volgendo a proprio favore tutte le risorse che ha a disposizione, questa donna riesce a conciliare la sopravvivenza economica con quella spirituale. Se Charlotte Lucas si è piegata al destino tracciato per lei dalla società, Mrs. Collins dimostra, in un piccolo grande trionfo, di non esserne vittima.
Nel quadro di saggezza femminile espressa da questo personaggio-simbolo, mi sembra di vedere ritratta l’intelligenza delle donne di tutti i tempi che, in contesti e modi diversi, i più disparati, anche tragici, hanno dovuto e saputo trovare rifugi segreti per salvaguardare la propria dignità.

Jane Austen ha costruito questa stanza tutta per sé con grande sapienza, nel luogo più improbabile di Austenland, proprio sotto il naso di Mr. Collins e di Lady Cahterine, ciechi baluardi delle convenzioni sociali, e molto opportunamente l’ha nascosta sotto il solito, gustoso velo di ironia, che ne costituisce anche la calda luce radiante.

Sono sicura che Virgina Woolf, oltre un secolo dopo Jane Austen, avesse in mente anche Mrs. Collins e la sua drawing room di Hunsford mentre rifletteva sulle Donne e il Romanzo, e di lì sulle donne e il mondo degli uomini, e costruiva la propria stanza tutta per sé.
Errata Corrige – Contrariamente a quanto scritto in prima stesura sul fatto che non ci siano pareri autorevoli di critica letteraria in proposito, a confortarmi in questo ragionamento c’è la puntuale analisi di Liliana Rampello nel saggio Sei romanzi perfetti: l’autrice non solo ricorda come Charlotte si sia guadagnata una stanza in cui il marito non è ammesso ma sottolinea anche come il concetto stesso di room, stanza, si amplifichi e dilati, fino comprendere ogni ritaglio di libertà che le donne create da Jane Austen riescono ad ottenere.


Nota: Tutti i brani citati da Orgoglio e Pregiudizio sono tradotti da G.Ierolli, jausten.it


☞ Le riflessioni che Virginia Woolf ha dedicato a Jane Austen in Un tè con Virginia e Jane nella stanza tutta per sé e in Perfetta ed immortale, così parlò Virginia
☞ Recensione di Una stanza tutta per sé

Silvia Ogier

7 pensieri su “Il salotto di Mrs. Collins. Ovvero: la stanza tutta per sé di Charlotte Lucas

  1. liliana rampello

    cara silvia,
    sono del tutto d’accordo con te, l’austeniana stanza di charlotte è anche secondo me un antecedente simbolico della stanza di virginia woolf, come lo sono le passeggiate solitarie delle sue protagoniste quando devono mettere ordine in se stesse, l’ho detto molte volte in pubblico e lo dico nel mio libro a p. 163 e in una nota a p. 188.
    sono felice che concordiamo su questo punto
    a presto
    liliana rampello

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    1. Silvia Ogier Autore articolo

      Cara Liliana, grazie per il tuo commento, che mi ha permesso di fare una rettifica doverosa nel post, che è anche un’ammenda per un errore improvvido.
      Sì, anch’io credo fortemente che le passeggiate delle eroine austeniane siano un vero e proprio atto di autodeterminazione. Quella di Elizabeth, da Longbourn a Netherfield, in mezzo al fango, non a caso è stigmatizzata solo dalle donne (Miss Bingley e Mrs Hurst) che incarnano gli stereotipi patriarcali.
      Grazie ancora della tua attenzione. A presto

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  2. romina angelici

    Penso che chi conosce la lingua inglese come te Silvia ha indubbiamente una marcia in più per cogliere le infinite sfumature nascoste tra le pieghe della prosa apparentemente asciutta di Jane Austen. Sono molto affascinata da questo riferimento indiretto che hai rintracciato e secondo me Charlotte Lucas rappresenta proprio il simbolo di tutte quelle donne che hanno dovuto scegliere la protezione dell’uomo attraverso la dipendenza economica a discapito della loro libertà d’espressione che Virginia Woolf stigmatizza.

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    1. RAFFAELLA AMICUCCI

      Le stanze tutte per sé, reali e mentali, sono state, credo, il luogo della sopravvivenza femminile per tante donne nella storia. Tornando però ai romanzi di Jane Austen, anche Fanny Price se ne cerca una reale e anzi una delle scene più importanti del romanzo, quella delle prove per lo spettacolo teatrale, vedono Mary Crawford e Edmond invadere lo spazio di Fanny e quest’invasione di campo ha il sapore della profanazione.

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  3. Phoebes

    Come sempre un tè gustosissimo! Ho sempre amato e per certi versi anche ammirato il personaggio di Charlotte, il suo pragmatismo, e il coraggio di accettare, ma non subire, ma propria sfortunata condizione. E ho sempre gioito nel constatare, quando insieme ad Elizabeth la andiamo a trovare, che i timori dell’amica era infondati, e ora grazie a te posso anche esprimere meglio quello che ho sempre pensato senza riuscire a dare corpo al concetto: Charlotte è veramente riuscita a crearsi una stanza tutta per sè! 🙂

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  5. elisabetta

    Concordo con la piacevole ed attenta analisi di Silvia e condivido sul suo parere che l’opera della Woolf non sia abbastanza citata e lodata: ogni ragazza dovrebbe leggerla appena adolescente…ci sono traguardi di maturità mentale e fisica che altre donne prima di noi hanno raggiunto perchè noi adesso avessimo il grande dono di parlarne con libertà e gratitudine.

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